ovvero la “Divina Commedia” di un PAM
Amante dell’opera del grande poeta fiorentino del ‘300 fin dai tempi della scuola, la Divina Commedia con i suoi canti ed i suoi personaggi, mi torna in mente spesso e la pescata di oggi con tutto quello che ha comportato, mi è parsa come un’allegoria del viaggio nei tre regni ultraterreni dall’Alighieri narrati, avendo dovuto scendere con grande fatica per molte decine di metri, per raggiungere il torrente dove la natura rinfrancava lo spirito, per poi risalire nuovamente con dolore e fatica per tornare all’auto, e rientrare verso casa, passando per una selva di emozioni e sentimenti spesso contrastanti che si paventavano anche assieme e nello stesso instante.
Prologo
Dopo parecchie settimane, si riesce ad organizzare una pescata in compagnia sulla Venzonassa. La partenza da casa è fissata per le 5:45, levataccia mattutina nell’unico giorno di riposo, ma come resistere… e poi chi cavolo è riuscito a dormire dall’emozione! Ore 6:20, ritrovo da Roberto che come un novello Virgilio mi guiderà in questa avventura. Si carica tutto sull’auto del mio compare e si parte. Venti minuti più tardi parcheggiamo e ci prepariamo per questa mattinata di pesca a mosca.
Purgatorio
La discesa verso il torrente, parecchi metri più in basso, è ardua (a differenza di Dante, che scendeva verso gli inferi, non potendo proseguire la sua strada a causa delle tre fiere) noi lo facciamo scientemente, ma Roberto previdente ha pensato alla mia salute e mi ha fornito di bastone da passeggio telescopico. Il percorso è accidentato, reso infido dalla pioggia caduta il giorno precedente, in molti punti le foglie coprono il sentiero, impedendo alla vista di capirne la consistenza, roccia, terra o fango? Fortunatamente, la mia valida ed esperta guida, quasi paternamente mi indica i punti critici ed i passaggi più insidiosi. A rendere il mio procedere ancora più complicato, se mai ce ne fosse stato bisogno c’è anche un problema intestinale con crampi lancinanti, che si andrà risolvendo fortunatamente, anche se lentamente, nel corso della mattinata. Questo problema associato alla fatica della discesa, all’erba bagnata che lentamente, ma inesorabilmente inumidisce i calzari e la parte bassa dei calzoni, portandomi a sentire i piedi dentro le scarpe sempre più bagnati, ed anche la necessità di mantenere la massima concentrazione ed attenzione ad ogni passo, mi portano con il pensiero verso il Creatore, pregando per non scivolare e di farmi giungere presto all’agognato traguardo, facendo al contempo un esame di coscienza di quali peccati mi debba pentire e purgare, per dover sopportare tutto questo. In alcuni tratti, poi, il mio pensiero ed il mio grazie, corre agli uomini ed alle donne che hanno operato negli anni, per sistemare e mantenere il sentiero CAI che stiamo percorrendo; alle strutture in cemento, che solo Iddìo sa come diavolo hanno fatto, a portarlo e colarlo in certi punti, costruendo qua un ponte, là uno sbarramento, laggiù un camminamento per coprire un passaggio mancante che Madre Natura, dispettosamente aveva evitato di predisporre. Tre quarti d’ora di camminata e siamo a valle.
Paradiso
Lo scenario che si apre davanti è da togliere il fiato, il canto dell’acqua che passa tra le rocce, calma il mio animo ed il silenzio della vallata mi fa scordare la fatica. Il colore del torrente in alcune buche ricorda lo smeraldo ed il sole del mattino, che inizia a splendere con forza, riflettendosi sui massi del greto e soprattutto sulle varie correnti che si scontrano, sembra coprirli d’oro. Dopo il cambio d’abito, d’obbligo visto che dal ginocchio in giù son zuppo, ma “lo previdente Duca mio, già mi preparò a cotale evenienza, suggerendomi di preparare lo cambio d’abito da tenere in dentro lo zaino a spalla”, ci approntiamo per la pesca, prima di tutto mettendo in fresco le bevande per il ritorno, segniamo NK sulla licenza, indossiamo waders, gilet, foulard, cappello, occhiali da sole… La fedele Sage, sarà la mia compagna di oggi, il terminale F5s, preparato appositamente per questa occasione il giorno prima, è stato costruito seguendo quanto suggerito dal sempre presente, almeno per quanto mi riguarda quando pesco a mosca, “Mestri” i cui suggerimenti, datimi anni addietro sul Resia, durante un’uscita assieme, di cui ho già dato conto in un articolo precedente, mi son serviti in questa giornata “prova ogni singola buca o lama”, come mosca da usare ho seguito invece il suggerimento dell’amico Tiziano che in una uscita su un torrente molto simile, ma che dovrà rimanere segreto per una antica promessa nei suoi confronti, mi aveva indicato e dimostrato in tutta la sua validità; l’ultima guida e compagno di pesca virtuale che mi accompagnerà oggi, è Giovanni con cui ho imparato a pescare a mosca in torrente alpino, capendo come alternarsi nelle varie buche o zone “interessanti” usando anche tecniche di pesca differenti e virtualmente inconciliabili senza rischiare di intralciarsi e riuscendo a guadinare molte trotelle selvatiche. Roberto ha deciso di provare a ninfa, io a secca, come sempre, irrimediabilmente ed irriducibilmente sempre a secca. Le prime buche non danno esito, ma bisogna ancora cominciare a capire come muoversi per stare in equilibrio stabile senza rischiare di scivolare su qualche sasso viscido e traditore, come lanciare con precisione, posare la mosca nel punto migliore e soprattutto gestire l’irrimediabile ed omni presente rischio di dragaggio. Il terminale funziona divinamente, aiutandomi a raggiungere una posa quasi perfetta, precisa ed anche se è presente una piccola bava di vento, creata soprattutto dai salti dell’acqua, riesco ad essere efficace, e con che sorpresa, del tutto inaspettata, aggiungerei! Piano piano iniziamo a risalire il letto della Venzonassa, lancio in una buca dove c’è una zona di corrente più lenta, e quasi a fune buca, giusto prima del salto d’acqua, ecco una repentina bollata, ma non sono abbastanza lesto e pungo soltanto il labbro della trota. Beh, buon segno direi: le prede ci sono, sono in attività, la mia mosca è accattivante ed adescante, e per finire, la mia posa sembra davvero efficace. Si continua… ed una buca un po’ più in alto mi regala la soddisfazione della prima guadinatura di giornata. Non si tratta di un esemplare di trota enorme, quelle dei torrenti alpini non lo sono mai, la pinnatura importante, però, le rende combattive e estremamente divertenti. La slamo rapidamente cercando di stressarla il meno possibile, la ringrazio per la lotta e, vai si continua… Mi sento in paradiso, sono al settimo cielo, ringrazio Dio e Madre Natura per aver creato un posto come questo, e per avermi dato la soddisfazione di aver preso un pesce. Ma stiamo pescando da una trentina di minuti soltanto e la mattinata è lunga (per fortuna). Roberto a ninfa non ha ancora sentito nemmeno una beccata, ma è la prima volta che prova questa tecnica in torrente, un po’ mi spiace che sia all’asciutto, soprattutto perchè mi continua ad indicare i punti migliori dove far posare la mia esca. La Venzonassa ci ha coccolato con la sua voce ed i doni delle sue acque, molte canzoni mi suonavano in testa, e tutte con “Heaven” come comune denominatore e tutte molto dolci, intime e profonde (Made in Heaven – Queen; Stairway to Heaven – Led Zeppelin; Another day in Paradise – Phil Collins…) ed anche per questo mi è venuto in mente il parallelismo con il grande Poeta. Di buca in buca, di lama in lama, di raschio in raschio… l’attività di pesca è continuata e le soddisfazioni non sono assolutamente mancate, anzi; alla fine il conto si è fermato ad una splendida cinquina, di cui un esemplare di ibrido veramente notevole, sui 27cm che per un torrente è una misura di tutto rispetto; e con il corollario di due ferrate sbagliate, non posso proprio lamentarmi. Peggio è andata al mio compare e insuperabile guida; 5 trote sentite e ferrate, ma nessuna guadinata; ma Roberto era sicuro che sarebbe stata una mattina difficile, con la canna nuova da testare ed una tecnica di pesca ancora tutta da scoprire e padroneggiare. Chiuse le canne, rientriamo al campo base, passando per la prima parte del sentiero che ci ricondurrà all’auto, facendoci presagire quello che ci sarebbe toccato successivamente, ma per il momento c’era ancora un momento idilliaco da assaporare, nel senso più profondo del termine. Roberto, infatti, molto previdente e conoscitore del luogo e di quello che ci sarebbe toccato, aveva comprato pane fresco, mortadella, pancetta e birra; io mi ero limitato a portare del te freddo 😦 Consumare quel pasto nella pace dei boschi, in mezzo alla natura, quasi incontaminata, udendo solo la voce dell’acqua e degli animali, unici abitanti di quei luoghi, è stato un momento ristoratore sia per lo stomaco, ma soprattutto per l’anima, e mi ha ricordato una battuta del secondo film di Don Camillo e Peppone (il ritorno di Don Camillo), “grazie Signore ora odo la vostra voce e tutto è bello quassù”. Solitamente non sono così spirituale, sentimentale e mistico, ma questo torrente ha un effetto magnetico e mi ha preso il core al lazo. Mai ringrazierò abbastanza chi qui mi ha condotto e guidato!
Inferno
Se la discesa è stata dura e improba, nulla è stata a confronto della risalita. Alla fatica della prima parte, si è aggiunta quella, anche se non ce ne siamo accorti durante l’azione di pesca, del procedere di roccia in roccia, di salto in salto, di buca in buca, sul greto del torrente e spesso procedendo in acqua. Il sole che accarezzava il viso più in basso, oramai alto al mezzodì, picchia come un martello da fabbro! Il sentiero che in discesa sembrava semplice, al ritorno si è trasformato in un serpente viscido ed insidioso, e le zone franate sembrano voragini insormontabili e pericolosissime, che solo la calma e la prudenza han permesso di superare, evitando di mettere un piede in fallo se non qualcosa di peggio. I muscoli delle gambe dolgono, carichi di fatica ed acido lattico. Al mattino presto, era lo stomaco che presentava i crampi, ora invece sono i quadricipiti femorali ed i polpacci. Il fiato è corto, anche a causa del frugale, ma indispensabile pasto che ci siamo concessi, che era, l’unico modo per poter continuare e soprattutto concludere in sicurezza la giornata, senza i rischi di crisi ipoglicemiche. Una sosta qua, una sosta qualche decina di metri più in là, anche con la scusa di una foto o di sguardo al panorama, ha permesso di rifiatare, di calmare la frequenza cardiaca, che era salita in maniera vertiginosa, paventando il rischio anche di svenimenti per la fatica. In questi frangenti mi son reso conto del motivo per il quale questo splendido corso d’acqua sia, così poco frequentato ed anche gli esperti e gli estimatori, lo affrontano saltuariamente! Solo il pensiero della ricompensa di giungere all’auto e dissetarmi con i viveri presenti nel bagagliaio, mi spingono a continuare, nonostante un fastidioso dolorino al ginocchio, che senza la ginocchiera ortopedica soffre terribilmente i sentieri viscidi e le rocce appuntite o coperte di muschio che obbligano talvolta a passaggi da equilibrista. La salita o passaggio all’Inferno dura circa una mezzoretta a cui va aggiunto il quarto d’ora di paura che ci ha riportati dal punto di fine della pescata al “campo base” dove avevamo lasciato gli zaini con i vestiti di ricambio ed i generi di conforto. Degli ultimi trenta minuti di risalita, i più duri si sono rivelati quelli dell’ultimo quarto d’ora. L’odore e subito dopo la vista, della carogna di un capriolo o di un daino, in decomposizione al lato del sentiero, ci han ricordato la forza della Natura ed il rischio costante della fatale fine, in caso di un piede poggiato nel punto sbagliato durante un passaggio pericoloso o per un calo dell’attenzione. Gli ultimi metri, con il traguardo in vista, sono stati anche più faticosi di tutti i precedenti assieme, con la necessità da parte mia, di fermarmi a rifiatare, mentre “Stambecco Roberto” continuava imperterrito a salire, con la leggerezza tipica di chi conosce a memoria quei luoghi ed è abituato a cercar funghi in montagna. L’auto è in vista, lo Duca mio ha già aperto il bagagliaio ed ecco che finalmente poggio l’agognato piede sull’asfalto del parcheggio a lato della strada maestra, che più avanti nega perentoria il passaggio ai veicoli a motore!
Epilogo
Una gita in questo luogo merita tutta la fatica che comporta, e se mai ce ne fosse necessità, di ribadire che le acque ed i luoghi di questa mia terra Friulana sono splendidi, questo torrente potrebbe essere uno dei suoi biglietti da visita più autorevoli senza nulla togliere o inviare ad acque più blasonate e famose. Purtroppo i requisiti per decidere di andare a pesca sulla Venzonassa sono rigidi: bisogna stare bene, essere in buona forma fisica e con un minimo di allenamento nelle camminate in montagna, un buon livello di attenzione e concentrazione, niente alcool in corpo, aver fatto una buona dormita, avere al seguito acqua o altro per reidratarsi ed un minimo di viveri per evitare i pericolosi cali degli zuccheri, un copricapo per salvaguardasi dal sole ed un cambio d’abito, soprattutto se si è sudato molto, oppure si rischia di buscarsi una polmonite, con quella leggera brezza (quasi sempre presente), così rinfrescante, ma infida e pericolosa.
Ora che sono rientrato a casa e scrivo con calma questo post da pubblicare, ho ancora vivo il ricordo e le emozioni di questa giornata, ma anche la fatica con le gambe pesanti che fanno a fatica smaltiscono lo sforzo e la stanchezza.
Le foto
Le immagini che ho catturare con il telefonino, a volte sfocate causa dell’uso inevitabile della custodia protettiva anti-acqua, sono ben poca cosa d’innanzi alla realtà che ho incontrato, sono solo una piccolo promemoria di quest’avventura e non rendono giustizia alla maestosità della montagna che sovrasta il torrente, che lentamente e con costanza, nel corso dei millenni, si è scavato il suo letto erodendola per decine e decine di metri verso il basso, ed agli splendidi scenari che si aprono all’improvviso alla vista dello spettatore, che ne rimane affascinato e ammutolito, quando gira l’angolo dopo aver superato un masso o sbucando dal bosco per aggirare qualche ostacolo che gli impedisce la risalita.
Venzonassa – Agosto 2015
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Ibrido – Venzonassa – Agosto 2015
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